Nicola Filia

Estratto dalla fanzine

TC: Come hai conosciuto Nicola Filia con cui dai avvio a questo progetto a Celle?
PP: Ho conosciuto Nicola grazie a mia moglie, siamo andati a trovarlo nella sua “bottega” a San Pantaleo in Sardegna e da lì è nata una frequentazione. Di Nicola mi ha colpito la capacità artistica e la determinazione, mi è piaciuto in modo particolare il lavoro che ha presentato al Museo Man di Nuoro “Un Bosco di Alberi Bianchi”.

TC: Vuoi parlarci di questo lavoro? Cosa ti ha colpito?
PP: È un’opera museale entusiasmante, di grande impatto visivo, delicata, forte e nello stesso tempo fragile, mi ha ricordato “The Forêt” installazione di Xavier Veilhan a Grenoble, anche se là il materiale era completamente diverso, del panno arrolato anziché la ceramica.

TC: Mi piacciono le tue parole: nella città tutti rincorrono qualcosa che mai avranno. Perché impossessandosi di tutto si perde se stessi?
NF: La vita delle città, penso a Cagliari in Sardegna che è la più grande (dove ancora la qualità della vita è accettabile), ma soprattutto Roma, Milano e via dicendo, è regolata da ritmi necessariamente veloci, per i quali la mente delle persone comincia a “compartire” i compiti che automaticamente si dà. Dalla sveglia del mattino inevitabilmente si innescano meccanismi che ti portano ad automatizzare i tuoi compiti, rispettando tutta una serie di regole civili e democratiche di funzionamento e rispetto reciproci. Penso al metrò ad esempio e alle sue regole delle scale mobili. La parte destra per gli statici e la parte sinistra libera per i dinamici.
In questa società delle metropoli dove la fretta e la corsa scandisce le vite, perché tutto è obiettivamente distante, esiste un’inconsapevole rincorsa a un funzionamento matematico, dove i numeri crescono. Credo che la mente poi si dedichi inconsapevolmente a cercare di migliorare una posizione del corpo mortale sul pianeta, per cui tutto assume un valore economico.
Ho deciso di vivere e operare in Sardegna perché personalmente ho capito che la ricerca importante in questa vita, è quella interiore, quella dell’elevazione personale e spirituale. A quel punto, se ascendi, ti liberi dei pesi e dei fardelli comuni e cominci a capire che la vera ricchezza sono il tempo e lo spazio, e non il conto in banca.
In questi anni ho conosciuto persone ricchissime che dalla vita hanno avuto tanto e spesso in eredità dai padri e dai nonni. Forse solo uno di essi è in linea con i miei pensieri e vive una vita straordinaria. Molti invece si sono persi e continuano a vagare in un limbo fatto di paure e incertezze, dove l’essere ricchi è solo una condanna.

SCARICA LA FANZINE